UN GIOIELLO DI MUSEO

“Infinito” (al Piccolo Museo della Poesia di Piacenza)

Passa di lì, dall’occhio

rivestito di affreschi

il sacro del cielo.

Muse respirano

scapigliate nel Museo

tra balconate spianti

e colonne protese all’immenso.

E un Odisseo

si aggira ritornato in un’Itaca

di poesia, massimo

esempio di Luce

tempio battezzato

dalle piume

e dall’acume

di grandi penne.

Uccello alato, l’intuizione

venne senza barriere

e trova ristoro in un forziere

di pietra e di anime.

Merita rinnovata attenzione questo scrigno di bellezza, uno scrigno d’arte a tutto tondo, architettonico ma anche di intenti, che è il Piccolo Museo della Poesia di Piacenza. Lo spazio è quello della Chiesa di San Cristoforo, opera del Bibiena, in pieno centro storico, la profilazione degli interni a riprendere le chiare caratteristiche di un teatro, affrescato come una bomboniera da pitture e immagini evocative, tra le quali l’impronta della morte affidata al viso di un bambino posto accanto ad un piccolo scheletro grigio. Dopo l’inaugurazione del 5 settembre, organizzata dal Fondatore Massimo Silvotti, dalla codirettrice Sabrina Di Canio e dalla collaboratrice Giusy Càfari Pànico, con grande maestria e alla presenza di nomi importanti del panorama civile oltre che di quello poetico, recitativo e musicale, c’è ora la forte spinta a rendere questo tempio della bellezza e dallo spirito fortemente penetrante, una vera dimora per la cultura, non solo collezionata e presente in pezzi unici, libri, manoscritti e raccolte dei grandi della Poesia italiana, come Mario Luzi, Ungaretti, Leopardi, Alda Merini, ma anche quella viva di voci contemporanee con eventi e presentazioni di pubblicazioni.

Un Museo vivo insomma che applica il concetto stesso di fruibilità dell’opera nel suo primo attento scopo di far vivere i libri nelle mani dei visitatori. La corrente del Realismo Terminale ha sicuramente un’influenza del tutto speciale nell’ideazione di questo concetto di Museo, non solo perché ad esso è riservato tutto l’ampio spazio all’ingresso, con cubi espositivi a dare risalto alle opere manoscritte dei suoi membri, ma anche dovuto al concetto stesso di modernità di rapporto tra il soggetto e l’oggetto, in cui l’oggetto stesso può essere la scrittura stessa che prende vita delle mani del soggetto. Questo aspetto direi che è fondamentale per capire quale sia lo spirito con il quale il Museo accoglie il concetto stesso di se stesso. E apprendere che la distanza tra l’opera e l’occhio rapito del lettore può trasformarsi in un semplice gesto: quello di una mano tesa verso la conoscenza diretta, senza intermediari tra l’opera e il visitatore. Come senza intermediari saranno le iniziative presentate nel Museo, se non per le persone dialoganti con l’autore. Questo è quello che mi piace del Museo, questo è quello che ammiro nell’idea del suo Fondatore, questo ciò che mi ha portata a dare il mio contributo perché una lettera manoscritta di Alda Merini indirizzata alla primogenita Emanuela Carniti Merini con una poesia a lei dedicata e un manoscritto del cantautore e poeta Pino Mango potessero trovare casa tra queste magiche pareti, e a portarne una mia breve testimonianza e un racconto emozionato il giorno dell’inaugurazione. Una visita al Museo la consiglio a tutti coloro che intendono meravigliarsi: il resto poi verrà da sé.